LA VITA IMITA L'ARTE PIÙ DI QUANTO
L'ARTE NON IMITI LA VITA

RACCONTO

L’Arte è un bellissimo gioco. Lo pratico sin da bambino, allorquando modellavo figure con l’argilla dopo la pioggia o disegnavo con qualsiasi colore e supporto trovassi a portata di mano. Per la prima comunione chiesi in regalo la mia prima macchina fotografica e un paio d’anni dopo una cinepresa.

Sebbene riesca a trovare in ogni occasione il pretesto per creare una nuova opera, la mia forte tendenza all’autocritica m’impedisce di cimentarmi in lavori nei quali non credo.

Amo guardare alla realtà con gli occhi dell’attento ricercatore, consapevole che tutto può essere ridotto a misura d’uomo, reso artificiale o invecchiato.

Il mio modo di intendere l’Arte nasce dalla necessità di rielaborare senza condizionamenti tutto quello che colpisce la mia curiosità.

Il mio tema centrale è l’uomo, con le sue ossessioni, la sua emotività, le sue tecnologie, le sue trasgressioni, la sua corporeità, affrontati al di là di qualsiasi implicazione etica o politica. Ma sono affascinato anche dal tempo, dallo spazio, dalla natura e dalle ricerche di carattere puramente estetico.

Desidero che lo spettatore sia in grado di penetrare il messaggio nascosto nelle vicende narrate da ciascuna delle mie opere. Di conseguenza non prediligo nessuna tecnica o materiale in particolare, proprio perché ogni vicenda richiede tecniche e materiali specifici per essere raccontata.

Il viaggio per me è un modo di vivere nel rispetto delle diversità e nel confronto con realtà possibili ed impossibili dove affermare continuamente il mio anticonformismo ed eclettismo.
Cosciente del fatto che non è possibile pensare che tutto sia banale o che nulla possa far ridere, faccio della mia vena dissacratoria l’espediente per scuotere gli animi e attrarre l’attenzione degli altri.

I miei occhi ora da fanciullo, ora da vecchio saggio possono trovare ora un insetto, ora una condizione disumana che coinvolge milioni di persone, ed ecco che attraverso la videoart, la pittura, la scultura, le installazioni, le performances, quelle scoperte personali mi permettono di comunicare con il mondo.

Per questo detesto rinchiudermi in un “bozzolo” composto da opere uniformate da un unico stile.  La mia indole mi induce invece a comportarmi come un aquila che vola alto per individuare la propria preda e gode della sua conquista dopo averla agguantata.

Ecco perché amo definirmi un “Reporter dell’Arte”: insofferente ad una cultura di massa che ci costringe dentro schemi prestabiliti, il mio Stile sta probabilmente nel fare in modo di non possederne alcuno, per essere pronto ogni volta a rimettermi in gioco sperimentandone sempre di nuovi.

Penso che la creatività artistica rappresenti il propellente per altre attività umane che a loro volta forniranno nuovi impulsi all’artista, generando quel ciclo virtuoso che sta alla base del progresso civile.

DICONO

Il concettualismo oggettuale installativo di Vincent Giannico nasce dal dialogo serrato che egli intesse con gli oggetti della quotidianità, sull’ottica di una felicità inventiva che trova applicazione anche nei versanti delle azioni ambientali, della video art, della fotografia  e della pittura. La meditazione sull’immagine, che egli attua tramite la prospettiva del suo ripensamento, la riqualifica in termini di potere visivo e salvifico, innescando l’affermazione di una nuova iconicità  non scevra da impegno sociologico. Nei suoi lavori, l’idea poetica che si precisa attraverso l’oggetto, perviene a costrutti neoconcettuali di evocazione provocatoria, talora ironica, altre  inquietante o enigmatica., laddove l’irrealtà stessa della soluzione proposta è metafora dello straniamento e della disumanizzazione di questa realtà. Le suggestioni prodotte dalla memoria personale, dalla cronaca quotidiana, dai parossismi tecnocratici, dalle manipolazioni della  scienza e dagli imperativi di un ottuso consumismo, confluiscono nelle sue  ricognizioni oggettuali che partecipano delle confusioni  dei nostri tempi. Tempi di ibridazione, quindi, più che di verità, e di qui l’ ambiguità incarnata dai suoi oggetti, laddove l’artista diviene egli stesso manipolatore di un nuovo necessario umanesimo che si appunta sulla speranza del  riscatto.

MARIA CRISTINA RICCIARDI